La tomba 66 della “principessa”, datata al secondo quarto del VII sec. a.C. e scoperta nel 1975 in un settore isolato della necropoli di Cimitero Vecchio, era simile alle altre sepolture: una grande fossa rettangolare coperta di pietre e ciottoli, al centro della quale, però, stava un grande lastrone di pietra bianca, reclinato su un lato, ma in origine eretto in funzione di segnacolo (sèma). Un altro elemento distingueva questa tomba dalle altre: l'ampio recinto di grossi massi, che creava intorno ad essa un limite ben preciso, per indicare la presenza all'interno di una personaggio di rango.
Il recinto era costituito da due diversi giri di pietre che si sovrapponevano: quello inferiore, più ampio, tracciato al momento della sepoltura; quello superiore aggiunto in un momento successivo, a testimonianza di come al personaggio lì deposto venivano riservate onoranze e cure anche molto tempo dopo la morte: la giovanissima donna qui sepolta doveva appartenere ad un gruppo sociale dotato di un potere che sopravviveva oltre la morte del singolo e il suo ricordo rimaneva negli anni.
Rilevante il corredo: molti vasi d'impasto (brocche, tazze, anforette) e d’argilla figulina (brocche, olle) distribuiti ovunque e vasi di bronzo di notevole pregio, importati dall’area etrusca, tra cui una phiale baccellata e due bacini con larghe prese lunate. Ai piedi della donna erano fusaiole di bronzo, un’olla da derrate ed un fascio di tre spiedi di ferro, tipici segni della ricchezza agricola e prerogativa quasi esclusiva dei corredi funebri degli uomini connotati solitamente come principes delle comunità indigene. Gli spiedi potrebbero anche indicare che alla giovane defunta spettava la prerogativa di qualche forma di sacrificio, rivendicandole ciò anche un ruolo religioso e politico.
La tomba è stata ricostruita in scala 1:1 nella II sala del Museo Civico di Bisaccia.